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‘Prendere a stomaco vuoto’. Ma quando lo stomaco è vuoto?

Spesso i foglietti illustrativi di alcuni medicinali orali riportano l’indicazione di assumerli a “stomaco vuoto”, per evitare eventuali interazioni e interferenze con il cibo che rischiano di ridurne l’efficacia terapeutica, tuttavia pochi di noi sanno cosa significhi realmente questa espressione. A chiarire la definizione di uno stomaco vuoto è il dottor Richard Klasco nella rubrica Salute del New York Times: due ore dopo aver mangiato è una regola empirica ma bisogna tener presente anche la tipologia di farmaci e le condizioni mediche dei singoli pazienti. Negli anni ’40 al Guy’s Hospital di Londra i medici iniziarono a studiare il tempo di svuotamento gastrico, ovvero il tempo necessario allo stomaco per tornare vuoto dopo un pasto. Il primo studio, effettuato su 21 volontari, fu pubblicato nel 1951. Ad ogni soggetto fu fatto ingerire un pasto di farinata, e subito dopo il contenuto fu risucchiato fuori. Ripetendo l’esperimento in varie ore della giornata per 190 volte, i ricercatori furono in grado di determinare che per svuotare lo stomaco erano necessarie mediamente due ore e un quarto. Nel 1966 altri ricercatori iniziarono ad usare sostanze radioattive per misurare lo svuotamento gastrico, una tecnica affinata nel corso degli anni e oggi divenuta standard per questo tipo di valutazione, così come definito dalla Società Americana di Neurogastroenterologia e Motilità e dalla Società di Medicina Nucleare, che hanno stabilito che uno stomaco normale dovrebbe essere vuoto al 90% dopo quattro ore. La differenza tra questa valutazione e i risultati dello studio precedente riflette probabilmente le differenze tra gli alimenti: i solidi impiegano più tempo ad essere digeriti rispetto ai liquidi, così come i grassi impiegano più tempo rispetto alle proteine o ai carboidrati.
La Food and Drug Administration statunitense, che ha il compito di incorporare questi dati, standard e migliaia di studi sulle interazioni alimenti–farmaci, definisce uno stomaco vuoto come “un’ora prima di mangiare, o due ore dopo aver mangiato”. La stessa definizione è utilizzata in Europa ed è però solo una regola empirica, dal momento che in quel lasso di tempo lo stomaco probabilmente non sarà completamente vuoto. La definizione specifica di uno stomaco vuoto, infatti, varia da farmaco a farmaco, ed è ovviamente riferita a terapie orali, ovvero a medicinali che vengono deglutiti, poiché solo in questi casi il cammino che essi percorrono all’interno del corpo è lo stesso degli alimenti e vengono assorbiti a anch’essi a livello intestinale. Prendendo in esame le terapie anti- osteoporosi, per esempio, il popolare acido alendronico dovrebbe essere assunto “almeno mezz’ora prima del primo pasto, bevanda o farmaco del giorno”. Ciò favorisce il suo assorbimento e riflette la necessità di stare in piedi dopo averlo assunto, diminuendo il suo potenziale di irritante esofageo. La stessa raccomandazione si applica all’acido risedronico, invece è raccomandata un’ora intera per il sodio ibandronato monoidrato.
Allo stesso modo, il farmaco tiroideo a base di levotiroxina deve essere assunto “a stomaco vuoto, da mezz’ora a un’ora prima della colazione”. Eppure non si deve presumere che uno stomaco vuoto implichi sempre che un farmaco deve essere assunto per prima cosa al mattino, infatti alcuni di essi devono essere presi a stomaco vuoto prima di coricarsi, e questo è il caso dell’efavirenz per il trattamento dell’H.I.V, la cui assunzione a stomaco vuoto ne regola l’assorbimento, e la scelta della tempistica (prima di dormire) rende gli effetti collaterali, quali vertigini e sonnolenza, sicuramente più tollerabili.